Estate

Sono a Verona.

Sono tornata a casa. Una casa, una delle due. L’altra l’ho lasciata giù con dentro tutta la mia famiglia, il caldo e una serie di parole non dette. Le ho trovate andando via, sulla veranda, in un vaso.

Questa è stata l’estate del non detto.

Non ho confessato a nessuno che per un istante e poi un altro in fila, mi si è congelata la speranza. Strano, in quel caldo afoso e fuori dal normale, congelare. Eppure l’ho sentito. Così dietro il collo e poi in faccia ho sentito che tutto cambiava di nuovo. E Io dovrei essere quella abituata al cambiamento, – lasciatevi trascinare ! – ripeto convinta. All’inizio il piede nel fiume l’ho infilato credetemi, così, prima l’alluce e poi tutto il piede intero fino al tallone, ma ho avuto paura.

Ecco questa è stata l’estate delle parole non dette e della paura. Paura di non farcela con mia figlia, paura della solitudine, paura di guardare dove fa male. E fa tremendamente male vedere i bambini trasformarsi, ed è tremendamente emozionante starli ad osservare mentre diventano altro da te, anche se non sono i tuoi figli. Per anni mi sono preparata a questo momento ma poi di fronte a quello che poteva essere la mia di figlia e io con lei, ecco, mi ha preso il raffreddore.

Starnuti ripetuti ad interrompere gli accadimenti della giornata. Starnuti nei pensieri. Nel sole, nel mare, sull’amaca. Tutto un etciù nel mio stare bene. Perché mi basta mia sorella per stare bene. Un’amica. Ma non è vero. Si sto bene è tutto come l’anno scorso e quello prima ancora, etciù, non è vero.

Questa è stata l’estate in cui ho capito che il mondo va avanti senza di me, e ci va da Dio! Non sono più utile, necessaria. Quel filo che teneva insieme il mio giocare, i bambini e gli amici si è interrotto. Non spezzato. Interrotto per il sopraggiungere della normalità della vita. Solo che Sofia stava in mezzo a quella normalità, a quel sentirmi utile agli altri, riuscivo a tenerla senza età tra i bambini. E se qualcuno cercava me allora arrivavamo in due, io e lei e il gioco era fatto. Dalla mia vita la sua vita.

Ma questa è l’estate in cui io ho bisogno di tutti e nessuno di me. Ed è quello che doveva accadere. Lo avevo scritto nei miei appunti non so quante volte. – tu tornerai e solo gli alberi saranno nello stesso posto- eppure fa male.

Essere inutile, dico. Fa male come credo faccia male per un po’ ad una mamma che guarda suo figlio tagliare il cordone. Ma il mio è un male diverso. Sapere di aver bisogno degli altri, sempre e per sempre, per tua figlia è un male diverso. Qualcuno c’è, c’è stato, e non andrà mai via, e sono grata di essere sorella, figlia, amica, cognata, grata ma infreddolita dalla mia inutilità e da quella di Sofia. Dolorante perché chi c’è sta lì per amore e non per le spinte in altalena e le risate di Sofia, non perché lei sia la migliore amica di qualcuno, non perché se non c’è Sofia allora la giornata al mare o la festa si svuota. Non per fare i tuffi insieme mentre noi mamme ci godiamo l’aperitivo. No, chi sta rimane per il bene. E questa estate tutto questo bene mi ha ricordato che nel gioco delle parti io avrò sempre bisogno di loro ma loro sempre meno di me, sempre meno, sempre meno, fin quando il bene diventerà un giorno al mare nel ricordo dei vecchi tempi. E sarà giusto così. E il fatto che sia giusto rende tutto di un grigio brillantato. Perché anche io so voler bene. Il luccichio sono io che guardo innamorata tutti quei cambiamenti in bambini che sono parte di me. Il grigio è Sofia con la sua catena alla mia gamba. Il grigio siamo io e lei inutili nella normalità della vita.

Tutto questo è stato nella mia mente per una manciata di giorni, forse così pochi da tenersi tutti in una mano, il tempo necessario a comprendere che ero in una posizione sbagliata rispetto al vento

Sono stata una girandola che non girava.

Poi mi sono rimessa in posizione giusta, a guardare il presente. Cambiare posizione e cercare il vento però mi hanno stremata.

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